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Quale volontariato per il futuro

Articolo su QuiTreviso - Ottobre 2025


Ne parliamo con Alberto Franceschini, presidente di Anteas


Il volontariato è un fenomeno particolarmente diffuso e radicato in Italia, pur con intensità diverse sul territorio. Gode di ampio consenso grazie ai risultati ottenuti, alle attività svolte e ai valori etici che lo ispirano. Tuttavia, oggi il volontariato si trova davanti a numerosi paradossi e ambivalenze che indicano una crisi d’identità e pongono interrogativi sul suo futuro sviluppo.

“Le trasformazioni legislative, organizzative e culturali degli ultimi anni hanno modificato profondamente l’immagine tradizionale del volontariato”, spiega Alberto Franceschini, presidente nazionale di Anteas. In passato, il volontariato veniva visto come un'attività “supplementare” rispetto allo Stato e al mercato, attiva dove le istituzioni non arrivavano. Oggi, invece, molte organizzazioni collaborano strettamente con gli enti locali, una sinergia senza la quale molte iniziative non sarebbero nemmeno immaginabili.

Questa collaborazione è utile da entrambe le parti: il volontariato è risorsa preziosa per il welfare e allo stesso tempo “scuola” di partecipazione civica. Tuttavia, Franceschini sottolinea che questa interdipendenza ha anche conseguenze meno positive: una crescente dipendenza dalle risorse pubbliche e una trasformazione del volontariato in qualcosa di sempre più professionale e strutturato.

“Il volontariato oggi non si occupa solo di ‘welfare leggero’, ma affronta temi complessi: povertà, inclusione sociale, assistenza a malati terminali, tutela dei diritti, ambiente, cooperazione internazionale. Attività che richiedono continuità, dedizione, competenza e rispetto della dignità di chi riceve.”

Il paradosso dell’identità


Questo ha portato a un vero e proprio paradosso: il volontariato non può più basarsi solo su slancio e buona volontà. Ha bisogno di organizzazione, progettazione, perfino di una certa “burocratizzazione”, perdendo – almeno in parte – quella spontaneità che lo caratterizzava. In questo processo, si avvicina sempre di più al modello europeo di volontariato.

Inoltre, in un contesto di crisi economica e tagli alla spesa pubblica, si assiste a un altro paradosso: crescono i bisogni delle persone, ma diminuiscono le risorse per affrontarli. E anche i volontari – colpiti anch’essi dalla crisi – hanno meno tempo ed energie da dedicare agli altri.

Nonostante tutto, i numeri del volontariato restano stabili, come confermato da recenti dati ISTAT. Ma la sfida resta aperta: essere volontari oggi è più difficile di ieri.

Un volontariato frammentato


Un altro nodo critico riguarda la frammentazione interna del volontariato: migliaia di piccole e medie associazioni spesso isolate, che faticano a collaborare tra loro e a fare rete.

“Il volontariato non si percepisce come un soggetto collettivo capace di generare un pensiero sociale condiviso. È un universo separato e individualizzato. E un soggetto sociale frammentato è anche un soggetto debole”, osserva Franceschini.

Il futuro del volontariato, secondo il presidente di Anteas, si giocherà su due fronti principali:


1. Recuperare autonomia e capacità critica

Il volontariato deve ritrovare un rapporto dialettico con le istituzioni, partecipando alle politiche locali senza subire deleghe improprie che ne svuotano il ruolo. L’autonomia è anche capacità di generare pensiero, cultura, testimonianza, anche rinunciando a qualche servizio in più, se necessario.


2. Coltivare la cultura della rete

È urgente superare l’isolamento tra associazioni e incentivare la collaborazione, la condivisione di idee e risorse, la progettazione comune.

“La cultura della rete – conclude Franceschini – è la naturale evoluzione della cultura della solidarietà. Più le associazioni si parleranno, si confronteranno, lavoreranno insieme, più la solidarietà sarà autentica, efficace e capace di contrastare tanto le derive individualistiche quanto l’eccessiva burocratizzazione della nostra presenza sociale.”


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